IV: Etiopia

Il viaggio di ritorno però, per quanto veloce, riservava ancora delle prove che avrebbero ritardato l'arrivo di Perseo all'isola. Il giovane si trovava nel cielo che dava sulla costa dell'Etiopia quando, poco distante dalla riva, vide ergersi fra le onde un enorme scoglio contro cui una ragazza era saldamente incatenata.

Appena la vide, legata per le braccia a una dura roccia
se non fosse stato che una brezza leggera le agitava i capelli
e tiepido pianto le stillava dagli occhi,
l'avrebbe scambiata per una statua marmorea),
il pronipote di Abante inconsciamente se ne infiammò,
rimase sbigottito, e incantato alla vista di tanta bellezza,
per poco non dimenticò di sbattere nell'aria le ali.
Atterrò, e disse: “O tu che non meriti queste catene,
ma solo quelle che uniscono tra loro gli innamorati smaniosi,
dimmi, te lo chiedo, il nome di questa regione e il tuo, e perché sei legata così”.
(Ovidio, Metamorfosi, IV, 672-681)

Il nome di quella ragazza era Andromeda. Figlia del re dell'Etiopia, Cefeo, stava scontando una punizione divina per via di un'offesa recata agli dèi da sua madre Cassiopea. La donna aveva osato proclamarsi più bella delle cinquanta figlie di Nereo, il dio sovrano del Mar Egeo prima che la distesa d'acqua toccasse al potente Poseidone.

Al tempo in cui Perseo si trovò a sorvolare quella parte di mondo, Poseidone regnava già sulle acque salate e vendicò le Nereidi riversando gran parte del mare sulla terra africana; non solo, come se ciò non bastasse, una volta ritirato il blu marino dalla terraferma, lo popolò con un mostro che ben presto paralizzò il commercio del popolo etiope. Unico rimedio per porre fine al castigo era sacrificare Andromeda alla belva. Così almeno si era espresso l'oracolo di Ammone interrogato dal re. Perseo, conosciuta la storia che avvolgeva la ragazza, non poteva permettere che una cosa simile avesse compimento. Stava già sopportando da troppo tempo il male inflitto a sua madre, vittima innocente di Acrisio prima e di Polidette poi. Il suo profondo senso della giustizia era stato provocato oltre i limiti: non ci sarebbe stato un altro sopruso, non in sua presenza.

Perseo si accostò ai genitori di Andromeda che stavano in piedi piangenti sulla spiaggia rovente, e si offrì di salvare la ragazza a patto di poterla avere in moglie. Cefeo e Cassiopea non esitarono a dare il loro benestare, ed ebbe così inizio per il figlio di Zeus un'avventura fuori programma. Una lotta feroce col mostro riempì l'aria, occupò i sensi, le energie, mentre l'acqua spumeggiava ribelle in quell'angolo etiope. Solo dopo diversi colpi di spada Perseo riuscì infine ad abbattere la bestia che fino ad allora non aveva mai smesso di dibattersi. Ma a questo punto bisogna sapere che la vittoria di Perseo sulle rive dell'Etiopia ha una valenza più ampia della semplice sconfitta di un mostro. Essa infatti si pone come evento conclusivo di una triade di successi che, insieme, vanno a realizzare il trionfo dell'eroe sull'acqua intesa come elemento naturale.

A partire dall'abbandono della cassa di legno in mare da parte di Acrisio, Perseo entrò in contatto con l'elemento fluido in una modalità tipica riservata agli eroi, che era quella dell'esposizione. L'acqua avrebbe dovuto ucciderlo e questo le conferiva un ruolo di nemica, una nemica che sotto altre forme si sarebbe riproposta con intento omicida. Perseo come sappiamo non morì annegato, che in altre parole significa dire che egli fu sottratto all'acqua. Ma essa in seguito presentò il suo volto malevolo in altre tre occasioni: la prima si ebbe con Medusa che, apparentemente non richiama nessuna immagine d'acqua; tuttavia ricordiamo che ella si unì a Poseidone, il quale dell'acqua ne era la personificazione. Legandosi a lui, la Gorgone “si contaminava” anche dell'attributo caratterizzante il dio.

Perseo fu poi coinvolto nella vicenda di Cassiopea, colpevole di aver oltraggiato le divinità marine delle Nereidi. Anche in questo caso, senza bisogno di spiegazioni, l'eroe entrò indirettamente in contatto con l'acqua, stavolta dichiaratamente ostile a causa della regina vanitosa. E sempre nello stesso contesto infine, ecco affiorare il terzo volto della nemica naturale con l'effige del mostro inviato da Poseidone. Ecco allora che come in principio Perseo fu sottratto all'acqua per volere divino, anche nelle successive manifestazioni di essa, il giovane ne vanificò gli scopi distruttivi grazie alla sua audacia e grazie all'aiuto degli dèi Atena ed Ermes. Tutto questo perché Perseo era destinato al cielo, all'elemento aria dunque, esattamente come richiedeva la sua discendenza diretta da Zeus, il sovrano del regno celeste.

Eppure, nonostante la conferma della volontà del padre, i guai per il figlio di Danae non erano finiti. Cefeo e Cassiopea infatti, accettando la richiesta di Perseo alla mano di Andromeda, erano venuti meno a una promessa già fatta. Non v'è dubbio che il momento in cui furono interpellati in fatto di matrimonio non consentiva loro di ragionare a mente fredda; troppo grande era la disperazione per la sorte della figlia e per la rovina in cui versava il loro paese. In quel momento sarebbero stati consenzienti a qualunque richiesta implicasse la fine della maledizione. Fatto sta che Andromeda era già stata assegnata al fratello di Cefeo, Fineo. E questa infrazione ai patti stabiliti andava in realtà ben oltre il torto nei confronti di Fineo. Con Perseo infatti venne inaugurato il matrimonio esogamico in opposizione a quello endogamico in vigore allora. Per la prima volta cioè, il legame coniugale non avvenne tra membri della stessa famiglia, ma si aprì all'esterno governato dalla regola della reciprocità: salvo tua figlia uccidendo il mostro a patto che tu la conceda in sposa a me. Come poteva sentirsi il promesso marito Fineo dinanzi a una simile notizia? Non è difficile da immaginarsi. Tanto più che, come tanti uomini altolocati, era d'animo arrogante e autoritario.

Erano ormai giunte le ore in cui il pomeriggio cedeva il posto alle prime stelle della sera. Perseo, esausto per il combattimento ma felice, chiese di poter rendere grazie agli dèi che lo avevano protetto, facendo loro sacrifici. E così, accompagnato dallo sciabordio pacato delle onde, erse tre altari fatti con delle zolle: uno per Ermes, uno per Atena e uno per Zeus, suo padre. Da alcuni servi di Cefeo si fece portare un vitello, una giovenca e un toro che uno dopo l'altro immolò a ciascuna delle tre divinità. Un lamento selvaggio echeggiò nell'aria blu cenere ad ogni collo sgozzato, dopodiché la sabbia si tinse di rivoli rossi che si scioglievano nel mare.

Alla reggia Andromeda, bellissima in una veste candida che la fasciava delicatamente e con piccoli fiori tra i capelli, attendeva il suo salvatore insieme a Cefeo, a Cassiopea e al resto della servitù. Un banchetto nuziale come non si era mai visto era stato fatto preparare dal re nei minimi dettagli nonostante il poco tempo.

Imeneo e Amore, in prima fila, agitano le fiaccole;
si alimentano fuochi con aromi a profusione,
e ghirlande pendono dai cornicioni,
e dappertutto risuonano lire e flauti e canti,
segni giulivi di felicità.
(Ovidio, Metamorfosi, IV, 758-762)

Il tempo sembrava essersi fermato e i due giovani non facevano che tenersi gli occhi incollati. Nelle loro mani la kylix colma di vino accompagnava l'estasi di cui erano figli. Ma improvvisamente dall'atrio giunsero grida minacciose. Una moltitudine di uomini avanzava verso i commensali, in testa Fineo, ardente di collera, pronto a uccidere.

“Eccomi, eccomi a vendicarmi!
Tu mi hai carpito la sposa, ma né le ali né Giove
trasformato in falso oro sottrarranno te a me!”.
(Ovidio, Metamorfosi, V, 10-12)

Ma prima che scagliasse la lancia contro Perseo, Cefeo si piazzò davanti al fratello rivolgendogli un discorso saggio ma carico di una verità scomoda e anche imbarazzante.

“Tu hai perduto Andromeda nel momento in cui fu deciso che doveva morire
– a meno che tu non sia così crudele da voler proprio questo, che essa muoia,
e da consolarti col mio lutto! Evidentemente non basta che sia stata legata sotto i tuoi occhi
senza che tu, zio o fidanzato che fossi, le portassi il minimo aiuto.
Addirittura ti dispiace che uno l'abbia salvata e vuoi strappargli la ricompensa?
Se questa ti sembra eccessiva, dovevi andartela a prendere su quello scoglio
sul quale era esposta! Lascia quindi che colui che ci è andato,
grazie al quale io non sono ora un vecchio sconsolato,
si porti via ciò che ha pattuito con le parole e meritato coi fatti,
e cerca di capire che è stato preferito non a te,
ma ad una morte sicura!”.
(Ovidio, Metamorfosi, V, 19-29)

Fineo, forse per l'inaspettata esibizione plateale di viltà, sulle prime tacque, ma poi esplose come una furia contro Perseo e i suoi seguaci, aizzati dal gesto, tirarono fuori tutta la violenza che ansimava in loro. Il banchetto si trasformò in una vera e propria strage. Perseo massacrò più di due dozzine di uomini, dall'altra parte il suo avversario non risparmiava nessuno. Getti di sangue e corpi orribilmente sfregiati presero il posto delle vivande e del vino che fino a poco prima accompagnavano la festa, giacendo ora sparsi ovunque nella più totale devastazione. Pur nel cuore della rissa Perseo non smarrì il senno e si rese conto che in troppi stavano cadendo. Decise così di giocare la sua ultima carta.

“Poiché mi ci costringete voi stessi, mi farò aiutare da una nemica!
Si volti dall'altra parte chi per caso mi è amico!”
E tirò fuori la testa della Gorgone.
(Ovidio, Metamorfosi, V, 178-180)

La sala si popolò d'un tratto di statue. Gli occhi di tutti gli aggressori schierati con Fineo erano puntati sul figlio di Zeus, carichi d'odio, ma erano occhi scolpiti nella pietra da uno scultore inesistente. E lo stesso i corpi: ora bloccati in uno slancio offensivo, ora intenti a ripararsi troppo tardi dalla visione, nessuno si era salvato e fermi nel loro ultimo movimento si votarono all'eternità. Fineo, scampato al pericolo, si aggirava sgomento fra i compagni. Batteva loro un tocco sulla spalla, passava la mano su visi, capelli, ma questi non si lasciavano penetrare, nulla si muoveva più. In duro marmo si erano trasformati i guerrieri e il terrore colse Fineo che, di nuovo preda della codardia, in un attimo si pentì di ogni suo gesto.

E allora, voltato indietro, tendendo di lato le mani e le braccia
nel gesto di chi supplica e si riconosce colpevole, disse:
“Hai vinto, Perseo! Metti via il tuo mostro prodigioso,
riponi, qualunque cosa sia, il volto pietrificante della tua Medusa!
Riponilo, ti scongiuro! Non è stato l'odio e il desiderio del trono
a spingermi a far guerra; è per la sposa che ho preso le armi.
Tu avevi il merito dalla tua; io, dalla mia, la priorità.
Mi pento di non aver ceduto. Non lasciarmi, o fortissimo,
nulla più che questa vita. Prenditi tutto il resto”.
Queste cose diceva, senza osare guardare
dalla parte di colui al quale rivolgeva la preghiera.
Perseo rispose: “Paurosissimo Fineo, quello che posso concederti,
e che è un gran favore, per un vile, te lo concederò, non temere.
Nessuno ti toccherà, col ferro. Tutt'altro!
Farò un monumento che rimarrà e conserverà il tuo ricordo per l'eternità:
nella casa di mio suocero sempre ti si potrà ammirare,
perché mia moglie si consoli con l'immagine del suo pretendente!”.
Così disse, e spostò la testa della figlia di Forco dalla parte verso la quale Fineo
aveva girato il viso sgomento. Anche allora egli cercò di volgere altrove lo sguardo:
il collo gli s'irrigidì, e l'umore degli occhi s'indurì in pietra.
Ma anche nel marmo gli rimasero una faccia spaventata,
uno sguardo implorante, le mani protese e un'aria umiliata.
(Ovidio, Metamorfosi, V, 214-235)

Con la pietrificazione di Fineo l'eroe argivo mise in pratica il suo primo atto di giustizia. Lo si può considerare una sorta di segnale che anticipa la missione vera per cui Perseo era partito da Serifo: come Fineo in virtù della sua posizione sociale e familiare avanzava pretese su una donna non sua e che oltretutto non era libera di decidere, così aveva fatto – e stava facendo – Polidette con Danae.

Ma l'abuso di potere non era contemplato nell'etica di Perseo, pertanto se il re a cui aveva promesso la testa della Gorgone non avesse rinunciato a sua madre, sposa del divino Zeus, egli non avrebbe esitato a fargli guardare negli occhi Medusa.