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BALENA

Cetus, Ceti

Cet

 

03 - Balena (mito)

La costellazione della Balena nell'Uranographia di Hevelius (1690).     
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

 

Situata a contatto con l’emisfero australe, la Balena è lontana dai protagonisti ai quali la sua esistenza è legata. Questi giacciono senza più paura nei dintorni del cielo circumpolare, quello che ruota attorno alla stella del nord e non conosce tramonto. Sono Perseo, Andromeda, Pegaso, Cefeo, e Cassiopea, tutti mutati in stelle eterne, silenziosi abitanti della cupola boreale. Il mito di cui è protagonista la Balena è naturalmente quello di Perseo e Andromeda, presente nel cielo in sei costellazioni. La storia è densa e avremo modo di conoscere le numerose vicissitudini dei suoi personaggi man mano che ci accosteremo a ognuna di queste costellazioni.

Parliamo dunque della Balena e subito notiamo, guardandola nella raffigurazione dell’astronomo Johannes Hevelius (a inizio pagina), che del grosso mammifero a noi noto, non v’è proprio nulla, nemmeno la coda che pur essendo di un pesce, non è quella della balena. Esso ci appare come un orribile intreccio fra un pesce, un leone, un avvoltoio, un cavallo e un serpente. L’occhio non si distingue al primo sguardo, ma è come se volesse confondersi con gli astri, emergendo all’improvviso come una disgustosa stella di carne. E’ in questo momento che si avverte con chiarezza la pericolosità di questa creatura e se ne assapora la malvagia crudeltà; si osservino gli spaventosi denti uncinati e radi che mette in mostra, denti che ritroviamo uguali sottoforma di artigli nelle zampe, queste ultime generatesi contortamente da ginocchi e gambe di cavallo. Infine una lingua lunga e triforcuta è pronta ad avvelenare letalmente la sua vittima per portarla poi tra le fauci: non di una balena si tratta dunque, ma di un autentico mostro. E infatti, il nome originario della costellazione è Cetus, il quale a sua volta deriva dal greco Ketos che significa mostro marino.

La creazione di esseri fantastici tramite l’assembramento di parti di vari animali è tipico in mitologia ed è un modo per simbolizzare i valori o le potenzialità che incarna l’essere in questione. Dunque una creatura dal corpo multiforme come Ceto è una creatura che ha la forza di un leone, è un’annunciatrice di morte come lo sono gli avvoltoi, possiede la rapidità del cavallo e l’infernalità del serpente. Naturalmente la parte di pesce indica invece che si tratta di un essere marino. Il raccapricciante cetaceo deve la sua notorietà alla vicenda di Andromeda, la figlia del re d’Etiopia Cefeo e della regina Cassiopea. Andromeda avrebbe dovuto pagare con la vita un affronto che la madre fece alle Nereidi, le cinquanta divinità marine che abitavano i fondali del Mediterraneo. Cassiopea si vantò di avere vinto una gara di bellezza che intraprese con loro e questo le costò una punizione quasi senza precedenti: Poseidone inviò nella terra africana prima un’inondazione che devastò la bella Etiopia e poi un terribile mostro marino. Il mare non sarebbe più stato navigabile finché vi si aggirava la tremenda creatura, e questo significava non poter attingere d una risorsa fondamentale per la sopravvivenza di un popolo costiero: senza il mare non vi poteva essere né pesca, né commercio. Ben presto quella gente avrebbe conosciuto la propria fine se Cefeo non fosse venuto a sapere da un oracolo che la punizione sarebbe cessata soltanto sacrificando al mostro la sua unica figlia: Andromeda. Un padre avrebbe fatto qualsiasi cosa… ma mai immolare la propria figlia. E tuttavia Cefeo era anche un re e come tale non poteva gettare nella distruzione completa la sua terra e il suo popolo. Con tutta l’angoscia che poteva avere nel cuore, accettò e portò la bella e delicata Andromeda in riva al mare. La incatenò a uno scoglio affinché la paura non la costringesse a fuggire, dopodiché tutti rimasero in attesa che il mostro apparisse per divorarla tra le sue fauci. Ma nel destino di Andromeda non era ancora prevista la morte. Per lei era riservata la salvezza e questa aveva un nome: Perseo. Perseo sarebbe stato il futuro fondatore della città di Micene ed era figlio di Zeus e della principessa di Argo, Danae. Il giovane stava facendo ritorno da eroe all’isola di Serifo dopo avere ucciso Medusa, una delle tre Gorgoni, creature figlie proprio di quel mostro marino che doveva giustiziare Andromeda.

Perseo viaggiava sempre volando, grazie ai sandali alati dono di Hermes – Mercurio per i romani – e mentre sorvolava quel lembo di costa, vide la sconosciuta ragazza legata saldamente alla roccia marina. Ne vide le lacrime, il corpo percosso dai flutti, ne vide la bellezza. Era una bellezza che superava l’umana immaginazione, talmente unica che andava custodita e difesa a ogni costo; ma soprattutto era una bellezza a cui egli non avrebbe potuto rinunciare. Non furono che pochi istanti quelli che occorsero per incendiare il cuore al ragazzo; un impulso folle e impaziente di salvarla si impossessò di lui e, voltatosi verso gli unici spettatori della scena, riconobbe in essi i genitori della ragazza.

Il poeta romano Manilio ha dedicato nel suo V libro degli Astronomica, quarantuno versi al salvataggio di Andromeda da parte di Perseo, descrivendo dettagliatamente il combattimento fra l’eroe e il mostro. Lascio alla sua poesia il proseguimento di questa storia che termina con la consacrazione alla volta celeste di quell’essere gigantesco che i posteri avrebbero conosciuto sotto il nome di costellazione della Balena.

[Perseo] Affretta l'aerea corsa e i genitori in lacrime
rianima con la promessa di salvarla, e pattuite le nozze
ritorna alla costa. Già rigonfio l'abisso aveva preso
a sollevarsi e in lunga schiera rifuggivano i flutti
la spinta di una massa mostruosa. Emerge il capo dell'essere
che fendeva i marosi e fiotti rigurgita, tutto con le zanne
fa strepitare onde, e risucchi di mare mulinano nelle sue fauci;
affiorano volute gigantesche di spire smisurate
e il dorso cancella la distesa dell'acqua. Grida d'ogni lato la prole di Nettuno
e perfino ne teme l'alta ripa scoscesa l'assalto.
Sventurata adolescente, benché sotto l'ala di così grande campione,
quale allora s'era fatto il tuo volto: l'abbandonò in un soffio
il respiro! Come restarono prive di tutto il sangue le membra,
quando vedevi dal cavo dello scoglio l'inesorabile fine
e appressartisi a nuoto il giustiziere e sospingere le onde,
tu, preda miserella del mare! Addosso gli vola con un frullo d'ali
Perseo e sospeso in cielo contro il nemico appunta
il ferro macchiato del sangue della Gorgone, e glielo infigge.
Il mostro gli s'erge contro e distolta la fronte dai gorghi,
la drizza e, in su sostenendosi con le attorte spire,
guizza e con tutto il suo corpo si slancia in alto.
Ma quanto gli s'alza contro, con scatti ripetuti dagli abissi,
altrettanto arretra volando e l'illude nell'aria senza confini
Perseo e sferza il muso del cetaceo scatenato.
Pur esso non s'arrende all'eroe, ma smania mordendo
l'aria, e a vuoto sbattono i denti senza potere offendere;
sbuffa anche zampilli verso il cielo e sommerge il volante
avversario con getti sanguigni e spruzza fino agli astri l'oceano.
Osservava il combattimento la fanciulla, causa del combattimento,
e già dimentica di sé trepidò per quel suo campione
sospirando e più con l'animo che col corpo è sospesa.
S'affondò alfine la belva con le membra trafitte
ricolma di mare, e di nuovo risalì sul filo delle onde
e ne coprì la vasta distesa con il suo corpo gigantesco,
anche allora paurosa da non reggerne la vista la fanciulla.
Bagna nel terso bagliore Perseo il proprio corpo
e più maestoso dalle acque trasvola verso l'alta scogliera
e scioglie dai legami la giovinetta riversa sulla rupe,
a lui promessa col pegno della battaglia, dal marito dotata sua
prossima sposa. Egli fece dono ad Andromeda del cielo e consacrò alle stelle
la mercede di tanto eroica guerra, per cui cadde della stessa
Gorgone un portento non minore ne rese liberi i mari.
(Manilio, Astronomica, V, 577-618)
 

Com’è facile aspettarsi, l’arte non ha mancato l’appuntamento con una storia d’amore e d’eroismo quale è quella che ha legato gli amanti Perseo e Andromeda. E’ soprattutto la pittura che alza il sipario sulla giovane coppia e davvero numerosi sono i quadri dedicati al salvataggio della principessa d’Etiopia da parte dell’eroe argivo.

Un dipinto che lascia pochissimo spazio allo sfondo perché dominato dalle tre figure di Perseo, Andromeda e Ceto, è quello di Pietro Mazzucchelli, detto il Morazzone.

 

03 - Balena (mito)

Nel dipinto del Morazzone, Perso si avventa sulla Balena per poi liberare Andromeda (Galleria degli Uffizi, Firenze, inizio XVII sec.).

 

Perseo si scaglia con tutta la sua energia sul mostro, che qui è rappresentato con sembianze molto simili a quelle di una balena. Al posto dell’iconografia tradizionale che lo raffigura con i sandali alati, nel quadro del pittore di fine ‘600 le ali appartengono ad un cavallo bianco che Perseo cavalca e doma con infallibile destrezza: si tratta di Pegaso, il cavallo alato nato dal collo reciso di Medusa. Gli sguardi dei due amanti portano l’occhio dello spettatore sulla creatura affamata di carne, che però non potrà saziare le sue viscere.

Analogo a questo dipinto per la scelta di rappresentare Perseo in groppa a Pegaso, è il quadro di Gustave Moreau. Qui la scena è più morbida per via dei colori simili da cui prendono forma le figure dei due amanti e che, con la loro chiarezza, contribuiscono a dare luminosità al quadro, penalizzando però il contrasto dei suoi vari elementi.

 

03 - Balena (mito)

Uno dei dipinti dedicati a Perseo e Andromeda del pittore simbolista francese Gustave Moreau. Il mostro marino è vittima dello sguardo fatale della gorgone Medusa, mentre Andromeda viene salvata da Perseo. Si noti la contrapposizione fra gli occhi spalancati di Medusa e di Ceto e quelli chiusi per proteggersi di Andromeda e Perseo (collezione privata, 1867-1869).

 

Nitida si staglia Andromeda in posizione centrale che, sfinita si abbandona al suo salvatore che sopraggiunge cavalcando Pegaso. Di Perseo è messo in evidenza lo scudo recante l’effige della testa mozzata di Medusa. Nell’interpretazione di Moreau, sarà proprio quest’ultima l’arma che ucciderà Ceto. Lo sguardo della Gorgone infatti aveva il micidiale potere di pietrificare all’istante chiunque lo incrociasse, anche dopo la sua uccisione per mano di Perseo.

Si comprende che saranno proprio quegli occhi esiziali e al tempo stesso terrorizzati, a vincere la creatura marina, dalla direzione verso cui puntano: essi mirano dritti dritti agli occhi della belva che immediatamente resta pietrificata in uno schema che ricorda quello degli incantatori di serpenti. Nel quadro oltretutto, il mostro ha le sembianze di un gigantesco serpente. Sempre dal binomio Medusa-Ceto, deduciamo infine qual è il momento preciso della vicenda che Moreau ha dipinto; per quanto osservato prima, si tratta senz’altro di quello immediatamente successivo alla sconfitta del mostro, il momento in cui Andromeda può finalmente arrendersi e abbandonarsi a Perseo.


E sempre con Moreau concludiamo questa breve rassegna artistica, mostrando un altro dipinto di grande impatto, il quale allarga la scena su un campo visivo molto più vasto.

 

03 - Balena (mito)

Un altro quadro di Gustave Moreau con Perseo che libera Andromeda (Bristol Museum & Art Gallery, Regno Unito, 1870).

 

Colpiscono senz’altro le insolite tonalità utilizzate per rappresentare il paesaggio: tutto avviene in un cielo dominato da tinte gialle e rosse che conferiscono un senso di calore più simile a quello di fiamme apocalittiche che non a gradevoli raggi di sole. Il mare è naturalmente lo specchio di questo cielo e appare chiazzato di rosso come fosse un presagio di sangue. Perseo è un piccolo guerriero sospeso nell’aria che, di nuovo, rivolge il suo scudo con l’immagine di Medusa verso Ceto, il quale è appoggiato sull’acqua come fosse un veliero. Questa volta non c’è Pegaso ad affiancare l’eroe, ma egli si libra nell’aria grazie ai calzari alati, dono del messaggero degli dèi. Il combattimento, pur occupando la parte centrale del quadro, si svolge lontano da Andromeda, che l’artista ha dipinto invece in primo piano in un lato della tela. La ragazza giace incoronata e incatenata alla roccia sacrificale, una scelta questa di grande valore simbolico: potere e schiavitù si trovano sullo stesso piano e chi avrà la meglio tra la corona e le catene, verrà stabilito dai due combattenti che si stanno affrontando alle spalle di una principessa bellissima, i cui occhi socchiusi appaiono tanto delicati quanto enigmatici; forse Andromeda ha perso i sensi in preda al terrore o forse, pur senza guardare, è presente e l’imperturbabilità del suo viso è quella di chi sa che, comunque andrà, c’è una cosa che non potrà mai essere uccisa: la nobiltà d’animo.
 
 


 

 

 

 

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