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ANDROMEDA

Andromeda, Andromedae

And

 

01 - Andromeda (mito) 

La costellazione di Andromeda nell'Uranographia di Hevelius (1690).     
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

 

Una fanciulla di stirpe reale con le catene finalmente spezzate, apre le braccia al cielo come per offrirsi alla libertà che nulla come l’eternità custodisce. E’ Andromeda, principessa d’Etiopia, vittima innocente dell’ira delle Nereidi, cinquanta ninfe delle acque del Mediterraneo rinomate per la loro straordinaria bellezza; le Nereidi ebbero la loro vendetta nel sacrificio della giovane, mirato a punire l’arroganza della madre Cassiopea e sulla volta celeste Andromeda guarderà per sempre sua madre, quasi volesse indicare, a chi dalla Terra le volge lo sguardo, fra quali stelle cercare l’inizio della sua storia. Una storia che gli antichi Greci hanno voluto scrivere senza lesinare sullo spazio a disposizione; ben cinque costellazioni hanno infatti dedicato al mito della principessa incatenata, ognuna delle quali indossa le vesti di uno dei protagonisti: nella calotta della sfera celeste, c’è il padre, Cefeo, presente tutto l’anno sopra di noi; a est di Andromeda c’è Perseo, il suo salvatore al quale darà una discendenza numerosissima e valorosa – Ercole per esempio era suo nipote –, a sud c’è la Balena, il mostro che come vedremo avrebbe dovuto ucciderla; e c’è, come abbiamo anticipato, Cassiopea, costellazione circumpolare, riferimento per tanti nell’orientamento grazie al suo splendore e alla semplicità morfologica.

Fu proprio a causa dello splendore della madre che Andromeda dovette scontare una colpa che non aveva.
 
Cosa fece mai dunque Cassiopea di tanto grave da dover sacrificare l’unica figlia per placare l’ira divina? Ebbene, ella contemplò la propria bellezza. A ragion veduta del resto: se furono scelte cinque grosse stelle a evocare la regina d’Etiopia nel cielo, non fu certo per caso. Cassiopea era magnifica e lo sapeva. Anzi era così consapevole della sua bellezza che volle sfidare le Nereidi in una gara. Ma poteva un essere umano, inferiore per la sua condizione mortale, osare competere con gli dèi? Probabilmente sì, ma solo per dimostrare l’assurdità della sua ambizione e la sua stupidità davanti agli uomini e alle divinità nel momento dell’inevitabile sconfitta. Il fatto fu che invece Cassiopea vinse… Le fonti del mito non ci dicono chi fu a proclamare vincitrice la regina, ma questo è un dettaglio di poca importanza. Ciò che conta è l’oltraggio arrecato, e un indicibile sdegno deve essere affiorato sulle gote fresche delle ninfe del mare, quando si videro superare da una donna di stirpe mortale. Poseidone stesso non sopportò l’affronto. Il tutto poi sfociò nel vero sacrilegio quando Cassiopea non mostrò alcuna modestia – nemmeno falsa – per la vittoria riportata, bensì prese a vantarsi della sua splendida figura e dell’eccezionalità dell'evento. Questo il dio del mare non poteva permetterlo, il rispetto è la prima cosa che gli dèi esigono dagli umani. Ecco allora che improvvisamente le acque si agitarono, diventarono sempre più minacciose fino a quando il mare si sollevò, come se fino ad allora fosse stato una distesa addormentata; si erse ad altezza impressionante per poi riversarsi fragorosamente sulla costa etiope. La terra venne inabissata in pochi attimi, la disperazione e la morte completarono l’opera. Poco tempo dopo Poseidone, non soddisfatto, mandò nei suoi fondali un mostro dalle fauci enormi e sgraziate a terrorizzare pescatori e commercianti. Quel lembo di terra etiope era decimato, affamato, ridotto a un cumulo di macerie inzuppate d’acqua. Cefeo era distrutto e l’unica idea che gli venne in mente fu di recarsi in Egitto, al tempio di Ammone dove il dio aveva un oracolo. Quest’ultimo gli rivelò che l’ira divina si sarebbe placata soltanto tramite un sacrificio. Ma non uno dei soliti; gli dèi esigevano un sacrificio umano: che Andromeda fosse data in pasto al mostro. Che fare? Cefeo non sapeva più se provava una disperazione più grande per il suo paese o per la sua unica figlia. Tornato nella sua terra, rivide la devastazione in cui giaceva, più drammatica di come la ricordava. “Un re ha la responsabilità del suo popolo, un padre dei suoi figli", pensò. "E se tutti possono essere padri, non tutti possono essere re. Io sono re. Per il mio popolo dunque e per gli dèi, sia sacrificata la mia prediletta… Andromeda”. E come ebbe pronunciato il nome della ragazza, un pianto incontrollato si impadronì di lui. Alle prime luci dell’alba, i sovrani si incamminarono verso la spiaggia. Erano due figure improvvisamente piccole, affaticate, che nulla avevano dell’imponenza reale. Andromeda li precedeva, i capelli sciolti erano onde nel vento, fedele compagno del mare, il viso teso in un’espressione di contegno conservava comunque la delicatezza che gli era propria.

Questi erano i suoi sponsali; placata la pubblica sventura
con la sua propria, fra le lacrime la vittima si adorna al sacrificio
e si drappeggia di veli non preparati con questo augurio,
e d’una adolescente viva senza funerale si snoda il funebre corteo.
Ma come si fu giunti alla riva della nemica marea
le sono allargate le morbide braccia sopra la dura scogliera;
le serrarono i piedi alle rocce, legami caddero a ricoprirla,
e la fanciulla destinata alla morte fu sospesa a questa croce verginale.
Le resta pur nel supplizio la verecondia dei tratti;
perfino la sofferenza le dona; reclinando il collo di neve
con grazia si prende attenta cura del suo atteggiamento.
Le scivolarono dagli omeri le pieghe acconciate, e lungo le braccia sfuggì
la veste e larga sulla schiena le si posò la massa dei capelli.
Attorno per tre volte strepitò di ali il volo degli alcioni,
ed essi piansero la tua sorte con un canto di compassione
e ombra ti fecero con l’intreccio delle penne.
Al contemplarti trattenne l’oceano le proprie ondate
e cessò di cospargerne i dirupi che gli erano avvezzi,
e la Nereide sollevò il volto dalla limpida superficie
e pietosa delle tue pene le onde stesse inumidì di stille.
Perfino l’aria, ristorandone con alito lieve le membra
sospese, fece echeggiare in tono di pianto i lembi della scogliera.
(Manilio, Astronomica, V, 546-567)
 

Ma il destino di Andromeda non era la morte: dal cielo infatti stava per arrivare la salvezza. Un giovane di nome Perseo, nato dall’amore segreto di Zeus con la principessa greca Danae, tornava a Serifo, una delle isole Cicladi dove era stato allevato dal re Polidette. Era reduce da un’impresa il cui solo pensiero faceva rabbrividire anche un cuore impavido: per riscattare la madre divenuta sposa e schiava dal patrigno, Perseo aveva promesso di uccidere la Gorgone Medusa, creatura di un mondo oltre l’oceano, i cui capelli erano un groviglio di serpenti spiritati e il cui sguardo trasformava in pietra chi lo incrociasse. Perseo tornava da vincitore e custodiva in una sacca la testa mozzata di Medusa, i cui occhi spalancati, conservavano il potere fatale. Perseo arrivava dal cielo perché indossava i sandali di Ermes, il messaggero degli dèi, i cui calzari erano alati affinché fosse rapido negli spostamenti. Scaldato dai raggi del sole di giorno o accompagnato dalle stelle di notte, l’eroe si trovò a sorvolare anche la costa etiope. E nonostante l’acqua gli si fosse sempre mostrata nemica, adorava il mare, tanto che ogni volta che lo sentiva sotto di sé, gli piaceva volare più basso per gustarne il profumo. Specialmente all’alba quando ogni elemento è nel massimo del suo vigore dopo il riposo notturno, egli sfrecciava sulla distesa azzurra dai riflessi dorati per respirarla in tutta la sua pienezza. Col sorriso sulle labbra, Perseo si stava riempiendo i polmoni di quell’ebbrezza quando inaspettatamente scorse una figura femminile staccarsi dalla parete di una roccia che si ergeva dal mare.

E come vide la fanciulla pendere a picco sullo scoglio,
impietrò quale non l’aveva irrigidito con la sua faccia la nemica,
a mala pena trattenne le spoglie nel pugno, e il vincitore di Medusa
fu in Andromeda vinto. Geloso già si sente delle rocce
e beate chiama le catene che ne avviluppano il corpo;
e poi che da lei stessa apprese le cagioni di quella punizione,
decide di entrarle nel letto nuziale facendo guerra al mare,
venisse una seconda Gorgone, non atterrito dalla sua ira.
(Manilio, Astronomica, V, 569-576)
 

Perseo, si avventò sulla belva con l’animo incendiato di furore e, dopo una battaglia tormentata, lo finì colpendolo con l’ennesimo colpo di spada e mostrandogli la Gorgone.

E quello morì e insieme restò irrigidito nella maggior parte del corpo, la parte che vide Medusa. Lui, allora, sciolse le catene della vergine e, porgendole la mano, la sostenne mentre in punta di piedi scendeva dalla roccia che era scivolosa; ed ora la fa sua sposa in casa di Cefeo e la condurrà ad Argo: sicché, invece della morte, s’è ritrovata un matrimonio, e non il primo che capita.
(Luciano, Dialoghi marini, Tritone e Nereidi)
 

Proprio così: prima di salvare Andromeda infatti, Perseo chiese a Cefeo e Cassiopea di poterla sposare. Questa era la condizione che imponeva per salvare la vita alla principessa. I sovrani erano ben lieti di dare il loro benestare, a qualsiasi cosa erano disposti pur di riavere la figlia viva. E l’ebbero.

Grida di gioia e applausi riempiono la spiaggia e le case degli dèi in cielo.
Cassiopea e Cefeo, il padre, esultanti, lo salutano come genero,
lo chiamano soccorritore e salvatore della famiglia.
Liberata dalle catene, avanza la vergine,
ragione e premio di quella fatica.

(Ovidio, Metamorfosi, IV, 735-739)
 

E finalmente venne il giorno delle nozze; il palazzo di Cefeo era uno zampillio di voci in festa, le mura erano rivestite di drappi colorati, ovunque fiori dai petali ora accesi ora delicati, traboccavano da vasi preziosi inebriando l’aria delle loro fragranze.

Perseo innalza a tre dèi altrettanti altari di zolle:
quello a sinistra a Mercurio, quello a destra a te, Minerva;
l’altare al centro è per Giove. Sacrifica una vacca
alla vergine bellicosa, un vitello al dio dai piedi alati,
un toro a te, massima divinità. E subito si prende Andromeda,
premio di così grande impresa, rinunciando alla dote.
Imeneo e Amore, in prima fila, agitano le fiaccole;
si alimentano fuochi con aromi a profusione,
e ghirlande pendono dai cornicioni,
e dappertutto risuonano lire e flauti e canti, segni giulivi di felicità.
(Ovidio, Metamorfosi, IV, 753-762)
 

Mentre a palazzo si faceva festa per Andromeda, nelle profondità del mare, il dio Tritone riferiva alle Nereidi che il mostro inviato da Poseidone era stato ucciso prima che sbranasse la ragazza. Le ninfe del mare incredule si fecero raccontare la storia. Seppero allora di Perseo, di come aveva vinto Medusa e di come aveva salvato Andromeda, evitando così la punizione a Cassiopea. Ifianassa e Doride, due Nereidi, commentarono così la vicenda:

Ifianassa: A me l’accaduto non dispiace per niente. Che torto ci ha fatto la fanciulla se sua madre era piena di superbia e pretendeva d’essere più bella?
Doride: Ma così si sarebbe addolorata per la figlia, lei che era sua madre.
Ifianassa: Non stiamo più a rivangare quelle cose, Doride, se una donna barbara ha cianciato ben al di là del giusto. E’ abbastanza la pena che ci ha pagato, la paura per la figlia. Rallegriamoci dunque per le nozze.
(Luciano, Dialoghi marini, Tritone e Nereidi)
 

Andromeda visse sicura accanto a Perseo e quando giunse il momento di lasciare la vita, il suo fedele sposo, il figlio di Zeus, la trasformò in costellazione consegnandola all’eternità.

Egli fece dono ad Andromeda del cielo e consacrò alle stelle
la mercede di tanto eroica guerra, per cui cadde della stessa
Gorgone un portento non minore e ne rese liberi i mari.
(Manilio, Astronomica, V, 616-618)
 
Com’è facile aspettarsi l’amore fra Perseo e Andromeda, eroicamente conquistato, è stato ampiamente celebrato dal punto di vista artistico. Proponiamo qui quattro opere (più la tavola uranografica a inizio pagina), rinviando ai miti dedicati alle costellazioni di Perseo e della Balena – il mostro marino – il proseguimento della galleria.

Nel 1869 il pittore inglese Edward Poynter ritrasse Andromeda su una tela attualmente appartenente a una collezione privata e non visibile quindi al pubblico.

 

01 - Andromeda (mito)

Andromeda di Edward Poynter (Collezione privata, 1869).

 

Si tratta di un dipinto intenso e tormentoso. Pur non comparendo la belva marina, la tensione che ne scaturisce è alta. Andromeda ha le mani legate da una catena a sua volta fissata alla roccia, il vento soffia impetuoso strappandole l’abito e frantumando le onde contro la parete spigolosa. Il movimento reso dalle sapienti pennellate allarga le sensazioni visive alla sfera uditiva e tattile; pare infatti di sentire il sibilo del vento che sferza il corpo indifeso di Andromeda e l’infrangersi spumoso delle onde.

Retrocedendo al 1730, Giovanni Battista Tiepolo preparò uno studio del Perseo e Andromeda in vista di uno dei quattro affreschi commissionatigli per il soffitto della salone principale del Palazzo Archinto di Milano.

 

01 - Andromeda (mito)

Perseo e Andromeda, un frammento sopravvissuto dell'affresco di Giovanni Battista Tiepolo che decorava il soffitto del Palazzo Archinto di Milano (The Frick Collection, New York, 1730).

 

Il Palazzo purtroppo venne bombardato nel 1943 e con esso fu distrutta anche l’opera del pittore tardo barocco. Fortunatamente però è rimasto il suo dipinto preparatorio custodito oggi presso la Frick Collection di New York. Trattandosi della pittura di un soffitto, il punto di vista è quello dello spettatore che alzando gli occhi, vede Perseo che, in sella a Pegaso, cavalca un cielo ora terso ora ammantato di nubi aranciate, le quali a loro volta paiono trascinate nel movimento impetuoso del cavaliere. In una variante del mito infatti Perseo non giunge coi sandali alati di Ermes, ma a cavallo di Pegaso. Nell'opera del Tiepolo l’eroe stringe a sé Andromeda appena liberata, ben riconoscibile dall’attributo del polso con la catena spezzata.
Più in alto Zeus e Atena troneggiano su nuvole dorate come a voler sublimare la coppia terrena in un “Perseo e Andromeda” divini: Zeus, padre di Perseo, è l’espressione della fierezza insita nel figlio, mentre Atena, dea della sapienza esalta la rettitudine della principessa etiope che, nonostante l’innocenza, non si sottrae al volere degli dèi.
 

Facendo ancora un passo indietro nel tempo, nell’Olanda del 1611, incontriamo Joachim Wtewael, il quale dipinse anch’egli il suo Perseo e Andromeda, opera oggi residente al Louvre.

 

01 - Andromeda (mito)

Perseo libera Andromeda di Joachin Wtewael (Louvre, 1611).

 

Il quadro si sviluppa su tre livelli di profondità: in primo piano, Andromeda che, proprio per questa prospettiva, si pone fisicamente vicino allo spettatore o, rovesciando il punto di vista, lo spettatore prova l’emozione di trovarsi accanto alla principessa incatenata. Ai suoi piedi, teschi e conchiglie, elementi che si richiamano sia nella sostanza che nel significato: ossa dell’uomo i primi e ossa del mare le seconde, entrambi emblemi della morte non possedendo più la carne che ne caratterizza la vita. Seguendo lo sguardo appassionato di una giovanissima Andromeda che tifa per l’eroe, ci si addentra nel secondo livello di profondità, dove lo spettatore assiste alla battaglia fra Perseo e il mostro marino, qui raffigurato col corpo di drago, gambe di cavallo e zampe da rapace. Il figlio di Zeus, possente e impetuoso, non indossa i sandali alati di Ermes, ma la prerogativa del volo è affidata a Pegaso. Sullo sfondo – terzo livello prospettico – contro un cielo luminoso, presagio di vittoria, si staglia invece il profilo di un villaggio olandese in luogo della patria etiope del mito, tipica scelta artistica per attualizzare la vicenda al contesto geografico e culturale del pittore.

Del 1690 è infine la tavola uranografica dell'astronomo polacco Johannes Hevelius (a inizio pagina) con Andromeda trasformata in stelle.


 

 

 

 

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