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DELFINO

Delphinus, Delphini

Del

 

01 - Delfino (mito)

La costellazione del Delfino nell'Uranographia di Hevelius insieme a quella della Freccia e del Cavallino (1690).     
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

 

E poi anche, dal mare, assurge agli astri il Delfino,
ornamento dell’Oceano e del cosmo, eletto per entrambi gli elementi.
(Manilio, Astronomica, I, 346-347)


Nelle profondità del golfo che separa l’isola di Eubea dalla penisola greca, in un tempo mitico fluttuava l’immagine d’acqua del palazzo di Poseidone, signore del mare. La residenza giaceva sul fondale in corrispondenza della città di Ege, la città che diede il nome a quella parte di Mar Mediterraneo compresa fra la Grecia e le coste dell’Asia Minore. Quando il sole saliva dall’orizzonte turchese inondando di luce ogni cosa, i suoi riflessi penetravano anche fin giù, nella dimora del dio. Allora la pareti di madreperla riverberavano di bianco e di rosa; lungo le colonne il corallo trionfava in un vermiglio acceso, mentre le alghe erano tappeti cangianti di verde. Ogni giorno lo spettacolo si rinnovava agli occhi delle creature marine e culminava con l’apparizione di Poseidone, in piedi sul suo carro, il tridente in pugno e quattro cavalli dalla coda di pesce che scalpitavano, impazienti di attraversare quel paesaggio fluido percorso da fremiti di freddo.
 
Tanto tempo prima Zeus, dopo aver preso il potere detronizzando il padre Crono, spartì i tre regni coi suoi fratelli: l'abisso dominato dall’acqua lo diede a Poseidone, quello sprofondato nei recessi dilaniati della terra lo ebbe Ade mentre la gloria del cielo e della terra la tenne per sé. Assegnando il mare a Poseidone tolse lo scettro finora appartenuto a Nereo, figlio di Gea e di Ponto. Nereo era chiamato da tutti il vecchio del mare essendo stato il primo dio a governare sulle acque. Egli, dopo essersi unito a Teti, fu padre di cinquanta figlie conosciute come Nereidi o come Oceanine a seconda che fossero indicate con la discendenza paterna o materna, poiché Teti era figlia di Oceano. Le Nereidi erano rinomate per la loro straordinaria bellezza e nessuna poteva competere con loro. Solo una regina ardì sfidarle, Cassiopea d’Etiopia, e per la sua tracotanza il popolo etiope venne minacciato a lungo da un mostro marino inviato da Poseidone.

Fra le Oceanine ve n’era una di cui il dio si innamorò follemente. Il suo nome era Anfitrite, splendida fanciulla dalla pelle dorata e dal corpo flessuoso accarezzato da vaporose onde di capelli corvini. Poseidone desiderava farla sua sposa ma lei al contrario voleva rimanere pura, come l’acqua in cui si muoveva, ora veloce ora piano, lasciando dietro di sé una scia di piccole bolle trasparenti. Nulla le dava un maggior senso di libertà e di pace dello stare lì, a contatto con quel mondo incontaminato, quel silenzio e quei mille colori e creature multiformi, senza legami con alcuno. Poseidone tuttavia non si arrendeva, anzi riteneva che la sua sovranità gli assicurasse il diritto di appropriarsi di tutto ciò che dimorava nel regno, e dunque ad Anfitrite non era lecito rifiutarlo. Tormentata dalle insistenze del dio, la giovane decise di fuggire. Attese la notte, quando tutti riposavano fra le braccia cedevoli di Hypnos, il sonno. Percorse miglia e miglia di mare in direzione nord, lasciandosi alle spalle le terre di Macedonia, di Tracia, del Chersoneso Taurico, finché di lei si persero le tracce. Era finita nella terra degli Iperborei, dove la volta celeste poggiava sulle spalle possenti di Atlante, il titano.

[…] Atlante, il quale del mare
tutto conosce gli abissi,
regge le grandi colonne,
che terra e cielo sostengono da una parte e dall’altra.
(Omero, Odissea, I, 52-54)
 

Presso di lui ella si rifugiò e nessuno tranne le sue sorelle sapeva dove si era nascosta. Poseidone inizialmente non si allarmò per l’assenza di Anfitrite, era certo che si trattasse di una fuga di poche ore, al massimo un paio di giorni e nemmeno in posti lontani, dopodiché Anfitrite si sarebbe ripresentata a casa e stavolta non gli sarebbe più sfuggita. Invece i giorni passarono; uno, due, cinque e l’Oceanina non riappariva mai. Il dio del mare a quel punto non poté attendere oltre. Interrogò a gran voce le Nereidi ordinando loro di dirgli dove si era nascosta la ribelle, ma esse non si lasciarono intimorire e fingendosi preoccupate quanto lui, gli dissero che non sapevano nulla della sorella. La collera accecò allora il signore del mare. “Se non esci tu dal tuo nascondiglio, ti verrò a tirare fuori io!”, gridò e detto questo, alzò il tridente e battendolo poi più volte sulla sabbia cedevole, lo impose su tutto il suo regno. Le tre punte di ferro presero a scintillare bieche mentre il fondale veniva rivoltato divenendo torbido. Il mare era sconvolto; dall’Olimpo Zeus vide la superficie dell’Egeo scurirsi e incresparsi sempre più fino a trasformarsi in una serie ininterrotta di marosi, che da altezze incredibili si riavvolgevano su sé stessi per schiantarsi con un tonfo sul suolo d’acqua. Poseidone scatenò tutta la sua potenza, ma inutilmente: di Anfitrite nemmeno l’ombra. Dopo essersi placato, decise di inviare i pesci più veloci in ogni direzione alla ricerca della nereide. Ordinò loro di non tornare fino a quando non l’avessero trovata. Fra di essi vi era anche un delfino che, unico, osò spingersi là dove l’acqua si fissa in enormi lastre di ghiaccio. Sfidando il freddo artico il mammifero giunse là dove Anfitrite aveva tratto il suo riparo. Quando la testa del delfino emerse dall’acqua, per qualche istante nella malinconia dei suoi occhi neri, parve fissare incantato il cielo tempestato di stelle. Sotto di esso l’immensità di Atlante, una mole granitica di muscoli puntellata su un ginocchio, le spalle ampie a sorreggere il firmamento. Poi scendendo con lo sguardo fino ai piedi del titano, finalmente eccola: Anfitrite giaceva addormentata, bella come non mai. L’indomani quando il sole si posò sul cristallo di quella terra immobile, riflessi accecanti si sparsero in quell’aria rarefatta. Il delfino allora si esibì in salti e tuffi per richiamare l’attenzione della giovane e lei, vistolo, si immerse nell’acqua con un guizzo. Quando lo ebbe raggiunto lo abbracciò forte. Calde lacrime le rigarono il viso, sentiva nostalgia del suo mare e delle sue sorelle. Il delfino, con la dolcezza del suo sguardo e il sorriso che gli pare disegnato addosso, le parlò di Poseidone, di quanto l’amore che le dichiarava fosse vero e di come aveva devastato l’Egeo per il dolore di aver perso la sua amata. Anfitrite ascoltava con attenzione il racconto dell’animale e per la prima volta vide il fratello di Zeus sotto una luce diversa, un dio disperato per amore, un dio che non si dava pace. Per la prima volta sentì di amarlo. Abbracciando di nuovo il delfino, gli chiese di riportarla a casa. Il mammifero però volle che Poseidone la vedesse in tutto il suo splendore e così, quando giunse nei pressi di Ege, fece adagiare Anfitrite su una bellissima conchiglia rosata che spinse fino alla soglia del palazzo marino. Agitando le pinne strillò e in poco tempo una folla di pesci, molluschi e cavallucci si radunarono davanti alla reggia. Le Nereidi accorsero presagendo l’evento e nello stesso istante Poseidone spalancò il portone reale: Anfitrite, finalmente Anfitrite… Di una bellezza travolgente stava lì, perla di luce nella sua conchiglia merlettata. E lei, allo stesso modo, osservava il suo re: il crine blu come gli abissi marini fluiva lungo le tempie posandosi sotto le spalle, occhi di smeraldo penetravano i suoi lasciandola nuda, mentre le membra erano un fascio di nervi che proclamavano il loro potere. Il carro lo innalzava ulteriormente e i cavalli nitrivano mentre si impennavano scatenando centinaia di bolle che si addensavano e si dissolvevano in turbinii evanescenti. Poseidone scese dal carro e si avvicinò ad Anfitrite. Le tese la mano che per la prima volta lei non rifiutò e alzandola dalla conchiglia, la tirò a sé. In un sussurro liquido le chiese di sposarlo e lei acconsentì abbandonandosi nel verde dei suoi occhi. La residenza di Poseidone venne preparata per le nozze e il signore del mare volle che a celebrarle fosse proprio il delfino.

 
Questa è la storia del delfino di Poseidone che vediamo rappresentata in cielo tratteggiata nelle cinque stelle della costellazione. Ma oltre che sulla volta celeste il delfino accompagna spesso l’immagine di Nettuno anche nell’arte. Per esempio lo vediamo su un bel mosaico romano del III secolo d.C., conservato al Museo Nazionale della città tunisina di Susa.

 

01 - Delfino (mito)

Il mosaico romano raffigurante Poseidone sul suo carro trainato da due ippocampi. Insieme ai destrieri si vede il delfino (Sousse Museum, Tunisia, III sec. d.C. circa).
Immagine: http://www.theoi.com

 

La scelta della tecnica del mosaico per raffigurare Nettuno e il suo entourage è piuttosto frequente nell’antichità, in quanto era una decorazione destinata ai bagni e alle terme, luoghi quindi legati all’acqua. Il mosaico tunisino è intitolato Il carro di Poseidone e mostra il dio in tutta la sua gloria, con il tridente in evidenza e un ampio nastro gonfiato dal vento che lo circonda dall’alto. La soluzione del nastro che volteggia nell’aria conferisce grande dinamismo alla scena che pare animarsi sia a livello visivo con i cavalli al galoppo, sia uditivo col rumore delle onde e del vento. Proprio davanti agli ippocampi – i destrieri di Poseidone dalla coda di pesce – nuota il generoso delfino.

Con un salto nel tempo di più di mille anni, arriviamo al 1564 quando lo scultore fiammingo Jean de Boulogne, meglio conosciuto come Giambologna, erige a Bologna una fontana dedicata a Nettuno.

 

01 - Delfino (mito)

La fontana del Nettuno del Giambologna in Piazza del Nettuno a Bologna (1564).     
Immagine: Ilaria Sganzerla

 

Il monumento la cui statua della divinità è in bronzo, sorge nell’omonima piazza, adiacente a Piazza Maggiore, cuore della città. Agli angoli del basamento inferiore stanno quattro Nereidi dai cui seni sgorgano zampilli d’acqua, mentre a quelli del basamento superiore, più piccolo, si sporgono seduti altrettanti putti. Nettuno è in piedi col tridente nella mano destra e, in accordo con la tradizione che ci ha tramandato Igino, posa il piede su un pesce, che altri non è che il delfino:

Quanti fanno statue in onore di Nettuno, come possiamo vedere, vi sistemano in una mano o sotto il piede, un delfino. Si ritiene che questo gli sia particolarmente gradito.
(Igino, Poeticon Astronomicon)
 
Nel 1634 invece ritroviamo il delfino nascosto in un particolare del quadro del pittore francese Nicolas Poussin.

 

01 - Delfino (mito)

Il Trionfo di Nettuno (o La nascita di Venere) di Nicolas Poussin (Philadelphia Museum of Art, ca. 1634-1637).     

Siamo in piena epoca barocca, quando l’arte vuole coinvolgere lo spettatore suscitando in lui emozioni forti. La mitologia greca con i suoi dèi ed eroi ben si prestava a realizzare l’obiettivo. I titoli stessi delle opere d’arte sono rappresentativi dello stile del XVII secolo come questo magnifico dipinto che si intitola Il trionfo di Nettuno e, guardando il quadro anche superficialmente, non poteva esserci nulla di più azzeccato. Poseidone è raffigurato al margine sinistro della scena, non al centro dunque perché il soggetto è il suo trionfo, ossia la sua conquista di Anfitrite, che infatti è la protagonista che l’occhio coglie per prima. Come nel mosaico di Susa, vi è un grande nastro teso dal vento che incornicia la Nereide, la quale lo tiene stretto insieme a una sorella. Anfitrite siede sulla conchiglia visibile in parte e appare compiaciuta. Alla sua destra Poseidone la guarda orgoglioso domando i quattro destrieri impazienti con una presa salda delle briglie. Tritoni e nereidi onorano la coppia in un unico immenso giubilo, mentre dall’alto vivaci cupidi spargono petali su di essi, segno che la scena rappresentata è quella delle nozze di Poseidone e Anfitrite. Sullo sfondo a sinistra si vede un carro ancora lontano sul quale un altro cupido sta raggiungendo il gruppo esultante. Il quadro è denso di particolari e osservandolo in dettaglio si possono scorgere anche due delfini. Anfitrite e una sua sorella tengono infatti una cordicella bianca ciascuna che, seguendola, porta ai delfini. Quello condotto da Anfitrite è naturalmente il delfino del mito trasformato in costellazione. L’opera si trova negli Stati Uniti al Philadelphia Museum of Art.

Conclude la rassegna la tavola uranografia di Hevelius (a inizio pagina) del 1690 dedicata alle tre piccole costellazioni della Freccia, Cavallino e Delfino. Johannes Hevelius era un astronomo polacco che, fra le numerose e preziosissime opere astronomiche di cui fu autore, realizzò anche quella intitolata Firmamentum Sobiescianum, sive Uranographia, comunemente chiamata Uanographia. Si tratta di un bellissimo atlante stellare formato da 56 tavole in rame incise che riproducono le costellazioni.

 
 

 

 

 

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