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SERPENTE

Serpens, Serpentis

Ser

 

 

01 - Serpente (mito)

La costellazione del Serpente e del Serpentario (Ofiuco) nell'Uranographia di Hevelius (1690).
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

Al Serpente dalle grandi volute una figura detta di Serpentario
dà strappi, mentre esso con tutto il suo corpo al corpo gli s’avvolge,
nell’intento di disfarne i nodi e le rotonde sinuosità del dorso.
Ma volge quello il capo all’indietro ripiegato sul flessuoso collo
e ritorna, facendogli scorrere le palme lungo le scivolose spire.
Sempre lotteranno alla pari, perché con forze uguali si affrontano.
(Manilio, Astronomica, I, 331-336)

 

Cielo velenoso quello estivo, abitato a Sud dal Serpente e poco più a ovest dallo Scorpione.


Come recitano i versi del poeta latino Manilio, il Serpente è quello che cerca di divincolarsi dalla stretta di un uomo, il Serpentario, letteralmente “colui che tiene il serpente”, costellazione nota anche col nome di Ofiuco e che personifica il dio greco Asclepio (Esculapio per i romani), figlio di Apollo nonché padre della medicina occidentale. La tavola uranografica di Hevelius mostra proprio i due personaggi.

L’immagine, aderente, torcente e contorcente, fatta di spire e di sibili, di una faticosa contesa della quale in sei versi, due volte ne viene spostato l’esito da un avversario all'altro, termina con un colpo di scena, quello di una vittoria impossibile. Dice il testo latino del verso 336:
 

Semper erit paribus bellum quia uiribus aequant.

Ovvero:

Sempre lotteranno alla pari, perché con forze uguali si affrontano.

Il tentativo di dominare l’avversario viene così vanificato perpetuando la lotta all’infinito. Il motivo di questa parità di forze sta proprio nella vicenda mitica che lega il Serpentario al Serpente. Come ci racconta Hygino, infatti, Asclepio, che già aveva imparato l’arte medica dal centauro Chirone, superò le sue virtù divenendo capace di resuscitare i morti, abilità che acquisì proprio grazie a un casuale episodio che ebbe con due serpenti:

(…) quando venne costretto a guarire Glauco, egli [Esculapio n.d.a.], chiuso in un luogo nascosto, stava meditando sul da farsi con un bastone tenuto in mano. Un serpente, si dice, si arrampicò su quel suo legno. Esculapio, spaventato, lo uccise, mentre quello fuggiva, colpendolo più volte col bastone. In seguito, viene tramandato, un altro serpente entrò nello stesso luogo. Portava in bocca un filo d’erba che appoggiò sulla testa del primo, dopodiché entrambi scapparono via di lì. Utilizzando quell’erba Esculapio riuscì a resuscitare Glauco. Pertanto, si racconta, il serpente fu posto, allo stesso tempo, sotto la protezione di Esculapio e nel firmamento. Questa consuetudine indusse i posteri a tramandare l’utilizzo dei serpenti da parte dei medici.
(Hygino, Poeticon Astronomicon)

Ecco allora che nelle statue di Asclepio e in generale nella sua iconografia, quel serpente lo vediamo sempre avvolto alla verga del dio. Il rettile divenne infatti l’animale a lui sacro. Il simbolo della farmacia se ci pensate ha proprio un serpente attorcigliato a una croce – quest’ultima simbolo di origine cristiana che rappresenta il trionfo sulla morte.

Alla luce della vicenda mitica, si spiega perciò il perché di una vittoria impossibile dell’uno sull’altro: è come se Asclepio dicesse al serpente: “Non potremo mai eliminarci l’un l’altro perché, contrariamente a quanto vorrebbe la tua natura verso di me, mi hai insegnato il rimedio che salva, grazie a te posso resuscitare i morti! E lo stesso io, cercando di abbattere te, non ho possibilità di vittoria perché senza di te non mai avrei potuto sottrarre nessuno alla morte!”. Come a dire che “io e te siamo alleati, contro la nostra volontà, impotenti di fronte a quanto il fato ci ha riservato, alleati per sempre”. La parità di forze nemiche di cui parlavamo prima, simboleggia dunque una coalizione delle stesse, che quindi diventano alleate, in altre parole pari.

La statua di Asclepio, conservata agli Uffizi, è una copia romana risalente al II secolo d.C.

 

01 - Serpente (mito)

Statua di Asclepio in marmo greco (Galleria degli Uffizi, Firenze, II secolo d.C.).
Immagine: www.amicidegliuffizi.it

 

Come si può notare, mostra gli attributi distintivi del dio della medicina, che sono appunto il bastone e il serpente il quale, come vuole la tradizione mitologica, si attorciglia a esso.

Questa statua è alta più di due metri e supera quindi la statura media dell’uomo. La scelta di scolpire la divinità ad altezza più grande di quella umana, vuole rappresentare il fatto che siamo in presenza di una divinità, cioè di un essere superiore all’uomo che è invece creatura mortale e imperfetta, ma indica anche che la scultura non aveva una funzione ornamentale bensì cultuale, davanti a essa cioè ci si fermava a pregare o si portavano offerte.

Se osservate il volto del dio, noterete infine che Asclepio appare piuttosto stanco, espressione certo anomala per un dio, il quale solitamente viene raffigurato in tutta la sua gloria e potenza, sia che il suo nome sia legato alla guerra piuttosto che all’amore, o alla giustizia, o a qualsiasi altro valore di cui è personificazione. Se ne deduce che chi scolpì questa statua volle fermare nel marmo la stanchezza del medico dopo aver curato i tanti malati, non senza forse un’allusione alla miseria di cui è inevitabilmente avvolta la condizione umana.

 

 

 

 

 

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