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LEONE

Leo, Leonis

Leo

 

03 - Leone (mito)

La costellazione del Leone nell'Uranographia di Hevelius (1690).     
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

 

Echidna, in greco la vipera, il mostro per metà donna e per metà serpente, creatura astuta e crudele la cui dimora era una cava roccia / lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali, si unì al terribile iniquo e violento Tifone e partorì figli dal cuore violento, come ci tramanda Esiodo.

Fra di essi vi era Cerbero, il cane a tre teste (o a due in alcune versioni) guardiano del regno degli inferi, l’Idra, serpente letale dalle cento teste che Ercole dovette affrontare nella sua seconda fatica, la Chimera, altro mostro a tre teste dalle cui bocche spirava fuoco inestinguibile, e anche un leone, il leone nemeo come venne chiamato, perché si aggirava nei pressi di Nemea, città del Peloponneso, sede anche dei giochi sportivi insieme a Olimpia. Il felino era:

nutrito da Era, la nobile sposa di Zeus,
che nelle valli nemee lo fece abitare, castigo per gli uomini,
dove abitando distruggeva le schiere degli uomini,
signore di Treto Nemea e d’Apesanto.
(Esiodo, Teogonia, 328-331)

 Era, la fedele sposa di Zeus, da lui troppe volte tradita, forse presagiva che un giorno avrebbe voluto vendicarsi di un’infedeltà più umiliante delle altre:

Il padre degli dèi e degli uomini
volgeva nel suo animo altro disegno:
come creare un difensore contro il pericolo
e a vantaggio degli dèi e degli uomini industri.
Scese, dunque, dall’Olimpo, volgendo dalla sua mente un inganno
per aver l’amore della donna dalla bella cintura.
(Esiodo, Lo scudo di Eracle, 27-32)

Zeus stava per generare con una donna mortale niente poco di meno che un difensore dell’umanità, un uomo di forza eccezionale, più simile agli dèi che non agli uomini; tanto che alla fine di una vita messa pericolosamente alla prova fin dall’inizio e tanto impietosa quanto tormentata, sarebbe stato ricompensato dal padre potente con l’assunzione al cielo e la trasfigurazione a divinità. Zeus non scelse dunque la sua consorte celeste per mettere al mondo un figlio di tal foggia, e questo Era non glielo perdonò mai finché quel nato fu in vita.

Lo ridusse schiavo di un cugino che, per volere della dea, ereditò al suo posto il trono delle cittadelle di Argo e di Micene e, obbedendo agli ordini di quell’ostile parente chiamato Euristeo, fu chiamato aduna sfida che lo avrebbe tenuto impegnato dodici mesi. Dodici prove avrebbe dovuto superare, dodici prove a cui nessun mortale avrebbe potuto sopravvivere. Di più: nessun mortale sarebbe riuscito a portare a termine conservando la vita, nemmeno la prima di esse. Ogni ordine di Euristeo era un taciuto desiderio di Era di vedere morto al più presto il figlio di Zeus e punire così il suo sposo per l’affronto che le osò.

Eracle era il nome del figlio maledetto e il leone di Nemea nutrito dalla nobile sposa di Zeus, era il protagonista della prima prova che egli dovette compiere.

Numerose sono le testimonianze letterarie antiche intorno a questa vicenda, ma una in particolare descrive minuziosamente con vivide parole l’impresa. E' quella di Teocrito il quale dedicò all’episodio la terza parte del suo venticinquesimo idillio il quale, proprio da esso, prese il titolo di Eracle uccisore del leone.

Qui, l’uccisione del leone di Nemea venne raccontata dallo stesso Ercole, in visita presso il re dell’Elide Augia, dopo che il figlio di quest’ultimo lo interrogò sulla sua identità. L’eroe infatti era avvolto in una spessa e gigantesca pelle di leone, e il suo capo giaceva sotto le minacciose, anche se ormai innocue, fauci spalancate della testa della fiera.

Fileo, questo il nome del principe, aveva udito tempo addietro di un Argivo che…

… aveva annientato una belva, un tremendo leone,
mostro nocivo per i contadini, che aveva la sua cava dimora
presso il bosco di Zeus Nemeo.
(Teocrito, Idilli, XXV, 167-169)

Eracle allora rispose al giovane, bramoso di ascoltare la storia dal protagonista in persona, di essere proprio lui quell’Argivo e di avere dato inizio con quella terribile lotta selvaggia alla prima delle fatiche impostegli da Euristeo. Ricevuto l’ordine, non perse tempo e si recò nella famigerata valle di Nemea, non lontano dalla città di Argo e situata ai piedi del monte Apesas dalle molte caverne. Tutto il giorno perlustrò la zona, ma solo alla sera incontrò l’efferato avversario.

… egli sul far della sera andava verso il suo covo,
dopo aver divorato carne e sangue,
e dai lati della chioma sudicia aveva imbrattato di sangue
il viso e il feroce petto, e con la lingua si leccava le mascelle.
(Teocrito, Idilli, XXV, 223-226)

Per due volte Eracle scagliò contro di lui le sue frecce ma queste, anziché trafiggere la carne del leone, rimbalzavano all’indietro vanificando ogni tentativo di sottomissione; fino a quando la bestia irritata passò all’attacco. Con queste parole il figlio di Zeus ricordò il brutale assalto:

Poi, terribilmente angustiato nell’animo,
per la terza volta stavo per tirare;
ma roteando intorno gli occhi mi vide,
la belva spietata, e avvolse attorno ai popliti
la lunga coda, immediatamente memore della battaglia;
tutto il collo gli si gonfiò di collera,
le chiome fulve gli si rizzarono per lo sdegno,
e la schiena divenne curva come un arco,
mentre si raggomitolava tutto fra i fianchi e le anche.
(…);
così il terribile leone balzò su di me tutt’insieme da lontano,
smanioso di saziarsi del mio corpo.
(Teocrito, Idilli, XXV, 238-253)

Fu a questo punto che Ercole colpì il leone sul cranio con la sua inseparabile clava, il bastone massiccio di oleastro imponente, con la sua corteccia e il midollo, come ce lo descrive sempre Teocrito. Un bastone robustissimo dunque che però non resse all’impatto con la testa del leone e si spezzò in due. Il colpo tuttavia servì a stordirlo e, prima che si riavesse, Ercole lo finì:

… la strangolavo serrando con energia le mie forti mani,
da dietro, perché non mi lacerasse le carni con le unghie,
e coi talloni premevo saldamente al suolo le sue zampe posteriori,
salitovi su, e proteggevo i miei fianchi dalle gambe,
finché non le feci distendere gli arti e la sollevai senza vita,
e l’Ade enorme prese il suo spirito.
(Teocrito, Idilli, XXV, 266-271)

Questa fu la fine della belva nemea, cara alla divina Era la quale volle allora onorarla portandola fra le stelle.

Eracle invece ne fece il trofeo che da allora in poi avrebbe ricordato a tutti, dèi compresi, che il figlio di Zeus non temeva nulla, e la sua forza poteva competere con quella di qualsiasi creatura mostruosa gli venisse posta dinanzi.

Strappate le unghie al leone morto, se ne servì per squarciarne la pelle e rivestirsene, poiché nient’altro avrebbe potuto tagliare quel manto.

Così Ercole nell’arte, divenne inconfondibile proprio per essere sempre rappresentato con la clava e con indosso la pelle del leone, come si può osservare sull’anfora attica bilingue raffigurante l’ultima fatica, quella contro Cerbero, il cane a guardia dell’ingresso dell’Ade.


03 - Leone (mito)
Eracle e il cane a due teste Cerbero sull’anfora attica bilingue attribuita ai pittori di Andokides e di Lisippide. Il dipinto illustra bene gli attributi dell’eroe: la pelle del leone nemeo sul capo, conquista della sua prima fatica, la clava e la faretra con le frecce avvelenate del sangue dell’Idra di Lerna, la sua seconda fatica (Museo del Louvre, ca. 520-510 a.C.).
Immagine: www.theoi.com 


La tecnica cosiddetta bilingue si riferisce alla ceramica greca che presenta decorazioni sia a figure nere che a figure rosse. La pittura vascolare greca infatti esordì attorno al 580 a.C. con la tecnica a figure nere mentre mezzo secolo dopo, si iniziarono a vedere le prime figure rosse che soppiantarono definitivamente le precedenti. Nella transizione ci fu un periodo in cui le due tecniche in alcuni casi convissero come per quest’anfora attribuita ai pittori di Andokides e di Lisippide.

Moltissime sono le raffigurazioni del combattimento, specialmente nella pittura vascolare dove è illustrato il combattimento o lo strangolamento del leone da parte di Eracle.
Di poco anteriore all’anfora dei pittori di Andokides e di Lisippide per esempio, è un’altra anfora attica, stavolta solo a figure nere, dove Ercole è impegnato in una faticosa lotta col leone nemeo di cui si percepisce perfettamente la grande forza e ferocia.

 

03 - Leone (mito)
Anfora attica a figure nere da Vulci del pittore Psiax raffigurante la prima fatica di Ercole, quella contro il leone di Nemea (Museo civico di Bresica, 530-500 a.C.).

Dietro il felino Atena, riconoscibile dall’armatura e dalla civetta raffigurata sullo scudo, protegge l’eroe.
Il vaso, ritrovato a Vulci, risale all’ultimo quarto del VI secolo a.C. ed è opera del pittore Psiax.

Sempre dello stesso periodo e della stessa provenienza è un altro recipiente in ceramica dalle caratteristiche originali in quanto, a dispetto dell’ormai affermata tecnica a figure rosse, si avvale per i suoi personaggi della tradizione precedente e in più li raffigura su sfondo bianco, anziché su quello tipico rosso. Si tratta dell’oinochòe attica a figure nere del cosiddetto Pittore di Londra B 620, conservata al British Museum.

 

03 - Leone (mito)
Ercole e il leone di Nemea sull’oinochòe attica a figure nere su sfondo bianco proveniente da Vulci e attribuita al Pittore di Londra B 620 (British Museum, 520-500 a.C.).
Immagine: a destra https://commons.wikimedia.org; a sinistra By Claire H. via https://commons.wikimedia.org

Il vaso, che è una sorta di brocca, veniva utilizzato per versare il vino, come indica la radice oinos che questo significa.
Vi si vede Ercole che torcendosi stringe con vigore il collo del leone, erto sulle zampe posteriori nel tentativo di liberarsi della morsa che gli sarà poi fatale. Nella visione completa della brocca, compare anche in questo caso alle spalle del leone, Atena a tutela dell’eroe.
Al ceramografo che l’ha dipinta è stato dato il nome dall’oinochòe a fondo bianco del British Museum classificata come B 620 e che raffigura Achille portato dal centauro Chirone.

All’epoca della battaglia di Maratona, 490 a.C., risale invece lo stamnos attico a figure rosse attribuito al Pittore di Kleophrades.

03 - Leone (mito)
Stamnos attico a figure rosse del Pittore di Kleophrades con Ercole che strangola il leone di Nemea (University of Pennsylvania Museum, Philadelphia, 490 a.C.).
Immagine: www.penn.museum

Il vaso è un generico contenitore per liquidi che talvolta può essere dotato di coperchio a indicarne una funzione conservativa, ma veniva utilizzato anche per mescolare il vino con l’acqua, come si faceva con i crateri. Il pittore di Kleophrades è considerato un artista di altissimo livello e la sua bravura è ben apprezzabile anche su questo dipinto della prima fatica di Ercole dove in un complicato intreccio di figure, è resa in tutta la sua drammaticità la scena dello strangolamento del leone. A contatto con la terra, Ercole fa leva sulle ginocchia spingendo contro il leone che tenta di azzannarlo; col braccio sinistro l’eroe gli stringe il collo possente, mentre la mano destra gli afferra il muso dalle fauci spalancate. Dal canto suo la belva cerca con tutte le sue forze di opporsi al figlio di Zeus; con la zampa posteriore sinistra puntata sulla testa di Ercole prova faticosamente a respingerlo, ma lo sforzo sta già per dimostrarsi vano come si intuisce osservando lo sguardo sofferente, sottolineato dalla lingua fuori, segno di grande affanno. In questo disegno dal tratto perfetto, vi sono due forze immense che si fondono, attraverso l’espediente di un corpo a corpo totale. Ma allo stesso tempo, in una tensione portata all’estremo, con altrettanto vigore si respingono, energie di carica opposta senza possibilità di incontro.

Venendo in epoca moderna, l’astronomo polacco Johannes Hevelius ha ritratto il felino con la sua caratteristica maestria sulla tavola uranografica dedicata alla costellazione (a inizio pagina). La tavola fa parte dell’opera Uranographia e pubblicata postuma nel 1690 a Danzica.

Anche in questo mito vi è un significato analogo a quello della lotta contro l’Idra. Il leone è il re degli animali per eccellenza, e insieme alla sua forza e alla sua ferocia incarna la natura animale. La vittoria di Eracle sul leone simboleggia la vittoria dello spirito umano sull'istinto animale.

 

 


 

 

 

 

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