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TORO

Taurus, Tauri

Tau

 

01 - Toro (mito)

La costellazione del Toro nell'Uranographia di Hevelius (1690).     
Immagine: http://www.atlascoelestis.com

 

Forse in pochi lo sanno, ma la costellazione del Toro custodisce le radici mitiche del continente in cui abitiamo: l’Europa. Prima di essere la bellissima terra i cui colori si rincorrono in una fantasia di paesaggi cangianti e la cui storia plurimillenaria è stata fissata da artisti senza pari in capolavori unici fatti di tele e marmi, Europa era solo una fanciulla. Certo, una fanciulla di stirpe reale, ma senza vicissitudini particolari come probabilmente ci si aspetterebbe pensando a un nome geografico. Ciò che in realtà aveva in comune col continente a cui avrebbe dato il nome, era la sua bellezza dirompente, impetuosa, tanto che Europa pareva più simile a una dea che a una creatura mortale. Tiro, in Fenicia, era la sua città natia mentre il sovrano Agenore era suo padre.

Tutto ebbe inizio un giorno quando l’aurora ormai stava per incedere. Europa dormiva e Venere iniettò volutamente in quegli ultimi frammenti di notte, uno strano sogno nel sonno della principessa, incomprensibile alla mente umana ma che, per il momento in cui si era manifestato, non passava inosservato. Si diceva infatti che i momenti precedenti l’alba fossero i depositari dei sogni che si avverano.

Europa credette che due continenti combattessero per lei,
l’asiatico e quello di fronte; avevano aspetto di donne.
Di esse l’una aveva sembianze da straniera,
l’altra somigliava a un’indigena,
e teneva stretta più forte sua figlia,
diceva che l’aveva generata e allevata lei stessa.
L’altra con la forza delle sue mani robuste
la trascinava senza opposizione, poiché, diceva, era destino,
per volere di Zeus egioco, che le toccasse in dono Europa.
(Mosco, Europa, 7-15)

L’Asia nella storia greca è stata fin dall’inizio il nemico numero uno di questa terra. Omero con la guerra di Troia dà un avvio mitico a una rivalità concreta, destinata a protrarsi nei secoli: Micene, capeggiata da Agamennone, era insieme a Sparta – terra natale di Elena – la città simbolo della Grecia, mentre Troia sulla sponda opposta dell’Egeo costituiva la porta d’ingresso all’Oriente. Gli scontri storici più famosi si hanno a partire dal V secolo a.C. Dalla battaglia di Maratona del 490 a.C., quando Milziade sconfisse l’immenso esercito persiano di Dario, a quella di Salamina dieci anni dopo e, a distanza di un altro anno, a quella di Platea, dove a perdere fu Serse, il figlio di Dario, si arrivò alla vittoria definitiva sulla Persia con Alessandro Magno, ma bisognò attendere più di centocinquant’anni.

Ecco dunque che Europa era metafora di una terra contesa da due continenti apparsi nelle sembianze di due donne, l’una - quella indigena - che incarnava l’Oriente e si chiamava Asia, la quale ne rivendicava l’origine (la Fenicia infatti era in Asia), l’altra - quella straniera - che rappresentava l’Occidente e che ancora non possedeva un nome. Chi l’avrebbe avuta per sé? La donna asiatica teneva stretta Europa, ma quella straniera con forza la tirò verso di sè. Vi era infatti un destino nelle sorti di quella fanciulla deciso dal padre degli dèi, Zeus, e dunque un destino infallibile: Europa sarebbe appartenuta alla donna occidentale e a lei la fanciulla avrebbe donato il suo nome. La messa in opera del volere divino sarebbe iniziata lo stesso giorno in cui la principessa fenicia ebbe il sogno. Europa si svegliò di soprassalto intimorita e confusa.

“Chi dei celesti mi inviò tali visioni? Quali sogni, mentre fra le coltri del letto,
nella mia camera, riposavo così dolcemente, quali sogni mi hanno sconvolta?
Chi era quella straniera che ho vista nel sonno?
Che desiderio di lei m’ha preso il cuore!
Anche lei, come mi ha abbracciata affettuosamente,
e mi ha guardata come sua figlia!
Possano i beati darmi buon compimento al sogno!”
(Mosco, Europa, 21-27)

La figlia di Agenore provò dunque istintivamente attaccamento alla donna straniera, quella occidentale, e a farle incontrare ci avrebbe pensato Zeus. Europa infatti possedeva uno splendore magnetico. E nell’età mitica degli dèi greci, ogni donna che incarnasse la bellezza senza pari, la dolcezza di una vergine e la sensualità di un’amante, era destinata prima o poi a giacere con un dio. Quella mattina Europa andò a raccogliere fiori nei prati adiacenti il mare, in compagnia delle sue amiche di sempre. Non fu un caso che il fiore che raccolse lei fosse una rosa di fuoco come la chiama il poeta Mosco. La rosa rossa, si sa, è il simbolo per eccellenza della passione. E proprio alla vista della fanciulla che teneva fra le mani l’emblema dell’amore, Zeus fu colto da un desiderio struggente. Non senza l’intervento di Venere però, l’unica in grado di avere potere su tutti, anche sul signore dell’Olimpo.

Maestà ed amore non vanno molto d’accordo, non possono convivere.
Perciò, lasciato lo scettro solenne, il padre e signore degli dèi,
colui che ha la destra armata di fulmini a tre punte,
che con un cenno fa tremare il mondo,
assume l’aspetto di un toro e mescolatosi alle giovenche
mugge e gironzola, bello, sul tenero prato.
(Ovidio, Metamorfosi, II, 846-851)

La scelta di Zeus di trasformarsi in toro sta alla base di un mito che porta con sé significati importanti. Il toro infatti è il simbolo della virilità ma ancor di più per gli antichi, è il simbolo della fertilità, colui che genera la vita. E dunque, se un continente doveva diventare grande, era indispensabile garantire una discendenza, e che fosse degna di tale eredità. La trasformazione di Zeus in toro sta a significare perciò che l’unione che avverrà non sarà sterile, né limitata al puro piacere fisico. E sarà infine un'unione dove verrà rispettato l’ideale greco della bellezza:

Il colore è proprio quello della neve non calcata dalla pianta di un duro piede,
non sciolta dall’Austro piovoso. Il collo è rigonfio di muscoli,
dalle scapole pende la giogaia. Le corna, è vero, sono piccolette,
ma così ben fatte che potresti sostenere che son fabbricate a mano,
e sono più diafane di una gemma pura.
Niente di minaccioso nella fronte,
e lo sguardo non mette paura. Un muso tutto pace.
(Ovidio, Metamorfosi, II, 852-858)

La mansuetudine di questo toro e il suo manto candido attirarono Europa che provò subito stupore e affetto per un animale così bello. Attraverso le carezze della ragazza corrisposte da una tenera sottomissione del dio dal mutato aspetto, Zeus conquistò la fiducia di Europa e, piegate le ginocchia, le comunicò in tal modo l’invito a salire su di lui. Europa si adagiò sulla grande schiena candida e, prima che potesse ripensarsi, il dio si affrettò verso il mare.

Il toro, toccata la costa, proseguì la corsa come un delfino,
marciando sulle ampie onde con gli zoccoli asciutti.
Allora, al suo passaggio, si rabboniva il mare,
mostri marini guizzavano tutt’intorno,
dinanzi ai piedi di Zeus, lieto piroettava il delfino dalle profondità sopra l’acqua;
le Nereidi affioravano su dal mare e,
tutte sedute sulle schiene dei mostri, si disponevano in file.
E lo stesso Scuotiterra dal cupo fragore, in superficie,
appianando le onde, guidava per la strada marina il fratello.
Attorno a lui si radunavano Tritoni,
marini trombettieri dal grave timbro,
che nelle loro conchiglie slanciate intonavano un’aria nuziale.
Lei, seduta sul dorso bovino di Zeus,
con una mano teneva il lungo corno del toro,
con l’altra le pieghe purpuree della veste,
perché non strisciasse e fosse bagnata dall’acqua immensa del mare grigio:
sulle spalle si gonfiava il peplo lungo di Europa,
come la vela di una nave, e rendeva leggera la fanciulla.
(Mosco, Europa, 113-130)

Lo Scuotiterra è Poseidone, il dio del mare e fratello di Zeus. E’ chiamato Scuotiterra perché prima che Zeus lo proclamasse sovrano degli abissi marini, si diceva vivesse sottoterra e fosse il responsabile dei terremoti. Se la traversata del mare è descritta come un viaggio portentoso, traboccante di blu miscelato ora allo smeraldo, ora alla schiuma opalina delle onde, dove tutte le creature marine accorrono ad accompagnare Zeus e la sua futura sposa in un giubilo di danze e musiche, non altrettanto solare si sentiva Europa. Voltatasi indietro, non vedeva infatti più la costa fenicia…

Ancora
amorosa di fiori sul prato
elaborava il serto delle Ninfe
quando non vide
che stelle e onde, e luce della notte.
(Orazio, Odi, III, 27, 33-37)

Ecco allora che dubbio e timore presero il posto dell’euforia iniziale.

“Sei forse un dio? Degli dèi, almeno, sono degne le tue azioni:
né i delfini marini marciano sulla terra, né i tori marciano nel mare,
tu invece a terra e per mare ti slanci senza paura,
gli zoccoli ti fanno da remi”.
(Mosco, Europa, 140-143)

Europa improvvisamente era di nuovo confusa, spaventata, come quando poche ore prima il sogno l’aveva svegliata di soprassalto. Al largo di una distesa d’acqua surreale, non distingueva più cosa fosse autentico e cosa illusione.

Coglievo fiori nuovi,
andavo sulle onde: cosa è vero?
Se ora mi portassero davanti
l’orribile giovenco del mio odio
io come lo dilanierei col ferro,
romperei le sue corna di prodigio
e di mostro, e l’ho amato, molto amato.
(Orazio, Odi, III, 27, 49-55)


Questi erano i pensieri che si agitavano nel cuore di Europa, tanto che in pochi istanti arrivò a odiarsi per l’assurdo slancio che l’aveva condotta verso il toro. Di una maledetta seduzione di cui non si era resa conto si incolpava la ragazza, piangendo. Ma a quel punto, gli dèi che l’avevano scelta, si fecero avanti; prima colei che le aveva instillato il sogno, la dea nata dal mare, la quale apparve a Europa in tutta la sua magnificenza e alla quale rivolse parole amabili e solenni in cui il suo destino stava racchiuso.

E Venere era presso sorridendo
insidiosa ai lamenti, con il Figlio
dall’arco lento. Poi, finito il gioco,
disse: “Frena i furori e le battaglie,
quando verrà il toro del tuo odio
porgendoti le corna da percuotere.
Tu non lo sai di essere la sposa
di Giove, l’invincibile: impara
a portare un destino di grandezza.
Uno spicchio del mondo avrà il tuo nome”.
(Orazio, Odi, III, 27, 76-85)

Poi Zeus, il supremo, svelò all’amata qual era il suo volere.

“Coraggio, fanciulla. Non temere i flutti marini.
Sono Zeus in persona, anche se da vicino sembro essere un toro,
poiché è mio potere apparire come voglio.
Il desiderio di te mi ha spinto
a traversare tanto mare in sembianze di toro.
Ti accoglierà Creta tra poco, che ha nutrito anche me;
là le tue nozze avverranno: da me genererai figli illustri
che saranno tutti sovrani fra i mortali”. Così disse;
e si compì quanto aveva detto. Appariva davvero Creta,
Zeus riprendeva di nuovo il suo aspetto, le sciolse la cintura,
e le Ore preparavano il suo letto.
Lei, fino allora vergine, divenne subito sposa di Zeus,
e partorì figli al Cronide, e così subito diveniva madre.
(Mosco, Europa, 154-166)

Europa divenne madre di sovrani giustissimi: Minosse, Radamante e Sarpedone. E in un solo giorno ella attraversò le tappe stabilite per le figlie femmine: vergine, donna e madre. Zeus invece volle ricordare quell’avvenimento dal quale uno spicchio di mondo sarebbe diventato la culla della civiltà occidentale, affidando il toro immacolato all’eternità di una costellazione, come possiamo ammirare nella raffinata tavola dell'Uranographia di Hevelius del 1690 (a inizio pagina).

ll mito di Europa è molto antico. E’ sicuramente anteriore all’VIII secolo a.C. dato che lo troviamo citato nell’Iliade. Dalle testimonianze letterarie che ci sono giunte, sappiamo poi che inizialmente Europa rappresentava solo la Grecia continentale, mentre fu a partire dal V secolo a.C. che passò a designare l’intero continente.

Una delle raffigurazioni cronologicamente più lontane del mito risale al VI secolo a.C. e proviene dalla città sicula di Selinunte, a quel tempo una delle colonie greche più prosperose.

 

01 - Toro (mito)

Il rapimento di Europa su una delle metope del tempio Y di Selinunte (Museo Archeologico di Palermo, 570 a.C.).     
Immagine: https://it.pinterest.com/pin/386535580490414902/


Si tratta di una delle sei metope che costituivano il cosiddetto tempio Y o “delle piccole metope”. Le metope sono le pietre quadrangolari che, alternate ai cosiddetti triglifi, formano il fregio dorico collocato sotto il timpano della costruzione religiosa. Il tempio Y di Selinunte era uno dei piccoli edifici sacri che insieme al grande santuario dedicato ad Apollo, occupavano l’acropoli. Di esso sono rimasti solo frammenti e, fortunatamente le metope, custodite al Museo Archeologico di Palermo. Una delle vicende scolpite è appunto quella di Europa dove vediamo la principessa fenicia seduta sul toro che con una mano stringe un corno mentre l’altra è appoggiata sulla schiena dell’animale. Il bassorilievo ci indica anche che i due amanti stanno già attraversando il mare; ai piedi del toro infatti si possono vedere due delfini che li accompagnano.
Che infine il toro sia “sospetto”, lo si può intuire dai riccioli sulla fronte, tipici dell’acconciatura maschile e femminile greca.


Del secolo successivo, il V a.C., è invece il cratere attico a figure rosse attribuito al Pittore di Berlino, ritrovato e conservato a Tarquinia. Il cratere è un recipiente per conservare il vino e non è un caso che la scelta tematica sia caduta sul mito di Europa. La vicenda e la stessa trasformazione di Zeus nell’animale virile per definizione, ha infatti un’alta valenza erotica, in sintonia con la bevanda che, come l’amore, dissolve la ragione ed è sempre presente in tutti i contesti dove entra in gioco la seduzione.

 

01 - Toro (mito)

Cratere attico a figure rosse attribuito al Pittore di Berlino su cui si vede Europa che si lascia condurre da Zeus sotto forma di toro tenendosi a una delle sorna (Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, V sec. a.C.).     
Immagine: www.theoi.com

 

Della stessa natura passionale è un famoso affresco recuperato a Pompei e visitabile al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

 

01 - Toro (mito)

Il rapimento di Europa in un affresco di Pompei (Museo Archeologico Nazionale di Napoli, I sec. a.C.).     
Immagine:  www.theoi.com

 

Europa, seminuda e sensuale, è adagiata sulla schiena del toro, mentre le amiche la osservano in un misto di invidia e preoccupazione. Anche in questa rappresentazione Europa è nella caratteristica posa di tenersi a una delle corna del toro. Quest’ultimo invece non è bianco ma fulvo. Alcuni autori infatti lo descrivono di questo colore, così come le corna che talvolta si dice fossero piccole e talvolta invece lunghe.

Facendo un salto nel tempo di ben diciassette secoli, troviamo l’elaborato quadro di Paolo Veronese, uno dei dipinti di cui può vantarsi la Sala dell'Anticollegio del Palazzo Ducale di Venezia.

 

01 - Toro (mito)

Il ratto di Europa di Paolo Caliari, detto il Veronese (Sala dell'anticollegio del Palazzo Ducale di Venezia, 1580 ca.).     
Immagine: www.iconos.it

 

Composto fra il 1576 e il 1580, la tela è uno dei numerosi esempi di manierismo italiano, il movimento artistico di derivazione rinascimentale che si distingue per la nuova prospettiva con cui si ritraggono i temi classici e religiosi: la tipica armonia e il rigoroso equilibrio del Rinascimento sono sostituiti da una visione audace e “prorompente” dei vari episodi, che ben si evidenzia soprattutto nelle scene a carattere mitologico. Le rigidezze imposte dalla Controriforma cattolica sortirono l’effetto contrario a quello desiderato e le raffigurazioni mitiche – quelle che meglio si prestano a esprimere il contrasto ideologico – vengono esaltate nei loro aspetti erotici e profani. E’ il caso della tela del rapimento di Europa, dove sono presenti gli elementi tipici del manierismo: la scena è curata in ogni particolare, nessuno spazio viene lasciato privo di soggetti, realizzando così l’abbondanza di attributi propria del movimento artistico. I numerosi amorini, i colori vivaci, l’eleganza dei tessuti e la gentilezza dei movimenti intridono il quadro in un’atmosfera da età dell’oro. Zeus, sotto forma di toro, inghirlandato, bacia galantemente il piede della sua amata. Europa è già come una sposa e si lascia vestire dalle amiche con cui ha condiviso la giovinezza.

La storia continua nello stesso dipinto e la scena diviene ulteriormente surreale. Più avanti infatti, lungo il sentiero che porta al mare, Europa guarda sé stessa seduta sul toro e diretta verso la spiaggia. E infine la ritroviamo oltre le onde nell’atto di voltarsi indietro a salutare per sempre la principessa fenicia che fu fino a quel giorno.

 

In Olanda, anno 1632, è la volta del grande Rembrandt Van Rijn. Come spesso capita di osservare nei quadri del celebre pittore, gli episodi mitici sono rappresentati nel loro lato drammatico. Anche in questo caso, la fuga del toro con Europa non è l’idilliaco viaggio che la stragrande maggioranza degli autori mette in risalto.

 

01 - Toro (mito)

Il rapimento di Europa di Rembrandt (J. Paul Getty Museum, Los Angeles, 1632).


Rembrandt si focalizza piuttosto sullo smarrimento e la paura che prova la ragazza per quello che le sta accadendo, con la differenza che, mentre nel racconto l’apprensione prende il sopravvento quando ormai gli amanti sono in alto mare, qui è invece il sentimento dominante fin dall’inizio: Europa, stringendosi al corno del toro, come da tradizione, è ancora vicina alla riva eppure già si volta indietro a guardare le compagne allarmate, senza sapere bene cosa fare. A differenza del quadro di Paolo Veronese, nel dipinto di Rembrandt – che appartiene allo stile barocco – regnano la sobrietà e l’atteggiamento realista di fronte a ciò che si proverebbe se le circostanze fossero vere; di rapimento infatti si tratta. Il paesaggio circostante è cupo e inquietante, una scelta estremamente stridente con la favola originale ma, del resto, Rembrandt ha voluto che tutto fosse in sintonia con lo stato d'animo di Europa. La tela è esposta al Paul Getty Museum di Malibu.

Di tutt’altro respiro è invece il quadro del pittore francese Noël-Nicolas Coypel, realizzato negli anni 1726-1727 e conservato al Philadelphia Museum of Art.

 

01 - Toro (mito)

Il rapimento di Europa di Noël-Nicolas Coypel (Philadelphia Museum of Art, 1727).

 

Questo è un dipinto tutto da assaporare in radiosa estasi. Coypel ha saputo rendere in modo straordinariamente fedele la dimensione del mito: incanto, magia, levità, poesia sono solo alcune delle sensazioni che questo capolavoro suscita. I colori chiari, delicati, smaltati, dalla luce tenue ma vigorosa di un’alba possibile solo nel sogno, regalano l’ebbrezza dell’armonia perfetta, la stessa che le creature del mare affiorate per omaggiare Zeus e la sua sposa, suscitano nell’occhio del visitatore. Nonostante la tela sia impegnata in ogni spazio da un soggetto, si ha la sensazione della vastità, della libertà, dell’abbandono di ogni resistenza.

La scena ritratta è quella descritta dal poeta Mosco e sulla destra è possibile vedere Poseidone che munito di tridente dà ordine di precedere il fratello nella traversata marina verso Creta.

Chiudiamo questa breve rassegna – le opere artistiche sul mito di Europa sono innumerevoli – con un quadro vicino ai nostri giorni, opera di un altro grande della pittura: Henry Matisse.

 

01 - Toro (mito)

Il rapimento di Europa di Matisse (National Gallery of Australia, Canberra, 1929).

 

Il dipinto è del 1929 e si trova oggi alla National Gallery of Australia. Coerentemente con lo stile del XX secolo, Matisse predilige la sintesi delle forme, l’apparente semplicità del segno. Il dipinto è essenziale nei tratti e nei colori: Europa e il toro emergono dall’insieme di ombreggiature e di linee ora spesse ora sottili, abbozzate come se si trattasse di uno schizzo preparatorio. I colori sono pochi, quattro: azzurro del mare, grigio per il cielo in modo da separarlo dal primo, giallo oro per occhi e corna del toro a simboleggiarne la natura divina, e infine un predominante bianco per i due protagonisti, le cui esistenze vengono così legate.

Matisse impiegò tre anni a dipingere “Europa e il toro”, non era mai completamente soddisfatto del suo quadro e lo si può vedere dai cosiddetti “pentimenti” rimasti impressi nella tela: la coda del toro, le gambe e le braccia di Europa sono stati ridipinti più volte, ma la qualità dell’opera non ne è stata intaccata. Anzi, è la testimonianza di un lavoro sofferto e per questo sentito con grande intensità.


 

 

 

 

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